IL PIANO DEL COLORE URBANO
Il tema del colore urbano si inserisce prepotentemente nel dibattito culturale sull’identità dei luoghi nel 1979, anno in cui viene realizzato dal prof. Giovanni Brino il primo Piano Colore per la città di Torino. Da allora gli approcci alla lettura storica attraverso l’interpretazione cromatica si sono sempre più perfezionati. Al contempo, hanno anche innescato conflitti di competenza fra restauratori, storici, architetti, urbanisti, aziende produttrici di tinteggiature, imprese, costruttori, amministratori e proprietari (P. Zennaro, 2014). Così, il progetto del colore spesso assume le priorità di chi lo realizza, snaturando l’identità dello spazio che identifica.
Si passa dal colore della storia, che deriva da una accurata ricerca filologica e analisi chimica, al colore fluo che l’inquilino sceglie dopo aver sfogliato l’ultima rivista di moda o di arredamento inseguendo l’ultima mazzetta colori di tendenza. Sovente ci si dimentica che il colore delle facciate è un bene comune, che qualifica e identifica l’ambiente urbano, perché le facciate degli edifici prospettano sulla pubblica via le tante facciate poste in sequenza possono realizzare una sinfonia cromatica o al contrario, una cacofonia di tinte.
Più in generale il colore non può certo essere ricondotto a semplice elemento di definizione e unificazione dell’ambiente o della storia, ma può contribuire alla qualità visiva d’insieme che si distingue dal caos e dalla complessità del campo visivo. È indubbiamente uno strumento progettuale che conferisce identità agli spazi urbani favorendo l’orientamento delle persone, perché il colore è la caratteristica dell’oggetto che l’occhio percepisce per primo, prima ancora della forma o della consistenza (Gamido, Moreira da Silva, 2015).
Il Piano del Colore, perciò, è assimilabile ad un piano di valorizzazione ambientale che, a rigor di logica, dovrebbe tenere conto della storia dei luoghi, dei materiali, delle tradizioni costruttive, sociali e culturali e, soprattutto, della contemporaneità. Nello spazio urbano le persone si identificano, come nel loro ambiente domestico, si orientano e comunicano. Per tale ragione la stesura del Piano Colore non dovrebbe prescindere dalla volontà del cittadino così come dovrebbe originare da un’analisi approfondita dell’attualità.
Tecnicamente il Piano del Colore si configura come uno strumento urbanistico esecutivo che integra e completa gli strumenti urbanistici vigenti. Esso ha la duplice valenza di indirizzo e di regolamentazione perché consente la stesura di un progetto di facciata coordinato tramite il controllo delle matrici colore dei singoli elementi di facciata. Il Piano Colore così strutturato è finalizzato al perseguimento della qualità ambientale e urbana.
COME SI PROCEDE, QUINDI?
Con un approccio multidisciplinare, non certo con l’improvvisazione e nemmeno con l’autocelebrazione, che troppo spesso si palesa nei piani del colore realizzati.
L’analisi preliminare, coadiuvata da un accurato rilievo scientifico, dovrebbe così sfociare nel progetto delle matrici cromatiche, un progetto flessibile e adattabile nel contesto urbano, che consente la realizzazione dell’armonia cromatica urbana in sinergia con il rispetto delle volontà dei cittadini. Le matrici cromatiche così progettate diventano un elemento di coinvolgimento della popolazione nella valorizzazione urbana e non un vincolo numerico legato ad un codice colore preordinato su una mappa.
“Partecipazione” e “progetto cromatico” sono i concetti chiave per la valorizzazione del territorio.
©Katia Gasparini 2021
Per approfondimenti, Piano del Colore del Comune di Ledro:
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